Performance

GOCCE – Rituale di Comunità

IDEAZIONE, COMPOSIZIONE MUSICALE E COREOGRAFICA Federica Loredan

GENERE Danza, Voce e Body Music

MUSICA B.Evans, A.C.Villani, F.Loredan, G.Mucchi, V.Giampietro

MUSIC DESIGN Vittorio Giampietro

SUPERVISIONE DRAMMATURGICA Gaia Clotilde Chernetich

VIDEO Danilo Guidarelli

  • Con il supporto di Teatro della Tosse/Resistere Creare e Spring/OrienteOccidente

SINOSSI

Voci e canti per alleggerire il lavoro

Sorellanza per condividere la fatica

Una figura alchemica che immerge le mani nello sporco altrui,

nell’intimità, nei segreti, nella vergogna.

Cancellare le tracce, lavare le memorie e trasformare.

Tradizioni, destini e antichi saperi, dissolti nel tempo,

di cui restano solo GOCCE.

 

IL PROGETTO – Gocce è un dispositivo artistico:

  • Uno spettacolo che fonde diversi linguaggi artistici (Danza Urbana, Body Music, Sperimentazioni vocali, Loop station etc.).
  • Il frutto di studi storici, sociali, antropologici.
  • Un’azione artistica partecipativa in dialogo con luoghi e comunità.
  • Un rito collettivo.
  • Oggetto di una tesi sperimentale e di una ricerca in antropologia culturale presso l’Università di Torino

LA STORIA E LA SIMBOLOGIA

La lavandaia andava di casa in casa a togliere i panni sporchi e riconsegnarli candidi. “E’una figura alchemica”, che trasforma ciò in cui gli altri non vogliono immergere le mani. E’una figura purificatrice, che incarna il parallelismo metaforico tra pulizia esteriore e pulizia interiore. “Lava le memorie della gente”. Strettamente legata al fiume e al simbolismo dell’acqua, elemento primordiale e femminile per eccellenza in tantissime mitologie.

Da Les Legendes Rustiques di G.Sandes agli studi di Yvonne Verdier, sono molti i testi che raccontano di un saper fare, di un immaginario, di usanze, simboli, che attribuiscono a questo mestiere dei poteri: accompagnare le tappe della vita in alcuni momenti di passaggio (nascita e morte), arti divinatorie, saper rigenerare in accordo con i cicli della natura.

LA DIMENSIONE CORALE

Dopo essermi misurata in due assoli che hanno viaggiato in 6 Paesi Europei in molti festival e musei, ho voluto sperimentare una creazione dedicata ad un gruppo. Le interpreti non rappresentano singole storie ma incarnano archetipi e vengono affiancate da un coro, come nell’antico teatro greco, un personaggio collettivo, la saggezza popolare, un punto di vista. Lo spettacolo infatti è pensato nella sua forma compiuta integrato a un laboratorio aperto a donne di ogni età, provenienza e formazione per poterle inserire in scena come comparse attive in un paio di quadri. Il momento di studio e ricerca, come quello performativo, sarà uno scambio, una sanazione collettiva, un rituale di comunità. Linee guida decise a priori daranno ai partecipanti del gruppo una struttura, con l’intento di fare accadere qualcosa di unico e irripetibile, sincero e legato all’energia del momento. Per questo reale. Ogni volta diverso.

La comunità come spazio rituale, come spazio protetto in cui sentirsi accolte e poter condividere senza giudizio i propri nodi, le proprie storie da sanare.

LA MUSICA E IL SUONO

Gli ambienti sonori di questo spettacolo sono una sovrapposizione di suoni concreti, voci, composizioni elettroniche, poliritmie tradizionali, brani originali in parte campionati live tramite l’utilizzo di loop station, in parte cantati dal vivo e in parte registrati. La mia ricerca mi ha portato innanzitutto a incontrare persone-chiave dal vivo, realizzare interviste, raccogliere  le loro testimonianze e canti: un patrimonio immateriale, che resta in vita con dinamismo, adattandosi cioè al presente e nutrendosi di nuove tecniche.

IL MOVIMENTO

L’approccio è interdisciplinare: coreografia e musica non sono azioni separate ma si compenetrano. Suono – Movimento – Gesto – Narrazione sono per me strettamente correlati e in sinergia. Street dance, gesto rituale e danza sonora (dove il movimento stesso produce la musica) si fondono.

In questa creazione i panni hanno un ruolo determinante “L’abbigliamento non si limita a rivestire il corpo, ne modifica la materialità, le proporzioni, l’anatomia, le apparenze, il movimento, la percezione…veicolando e concentrando sulle parti scoperte tutta l’agentività del corpo vestito” . La donna che porta addosso come una seconda pelle i “panni sporchi” altrui, entra in relazione biunivoca col suo corpo, lo condiziona, lo amplifica, lo nasconde. Come se i tessuti potessero trattenere la memoria e l’energia di chi li ha indossati precedentemente. Come se la lavandaia fosse abitata da queste memorie.

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