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Le svolte
disagio giovanile

Rifletto sulle svolte.
A volte la strada assume una curvatura leggera, di quelle che ti permettono di continuare a vedere cosa c’è dopo, percepire che il paesaggio si trasforma lentamente fino a portarti altrove. Altre volte, sono delle curve a gomito, delle inversioni di rotta improvvise, che tolgono la visuale del prima e del dopo, come certi tornanti in montagna, che puoi solo stare lì in quel punto in quel momento.
Issiaka mi ha insegnato questo secondo modo.
Lui in parte per scelta in parte per cultura (l’aventure come viaggio di iniziazione all’adultità) lo pratica di continuo.

“L’aventurier è un termine connotato positivamente nella cultura migratoria subsahariana:
è colui che ce l’ha fatta, che è arrivato al di là di ogni vicissitudine.
Costituisce un riferimento, è una persona di successo, un modello da seguire”.

Immaginari migratori – A.Turco/L.Camara

Per me è un terremoto a cui non riesco ad abituarmi. Per lui sembra che la pulizia della pagina bianca e delle infinite opportunità di essere che si aprono davanti sia un’ebbrezza che cancella lo spaesamento di doversi reinventare da zero, in un Paese con una nuova lingua, una nuova rete da costruire, un nuovo sistema da comprendere e in cui integrarsi. Perché per integrarsi – come dice Sayad – bisogna disintegrare ciò che si era prima

“Integrare chi viene da un’altra cultura significa spesso renderlo invisibile
e fare in modo che asserva ai bisogni della società che lo accoglie”.
L’immigration ou les paradoxes de l’altérité – Abdelmalek Sayad.

Bisogna lasciare indietro affetti, luoghi cari, abitudini, accenti e non girarsi più. Non ascoltare quando tornano a bussare al cuore, alla memoria, lasciarli dietro come un’eco lontana, il richiamo di una sirena a cui non bisogna rispondere.
Se guardo alle mie trasformazioni invece vedo che sono continue e sotterranee, come se fossi sempre su quella leggera curvatura, tenendo un filo col prima, mentre il dopo si affaccia e sembra lo scenario più naturale a cui potessi approdare, tanto che spesso, prima che nei miei occhi, è in quelli di chi mi sta accanto e mi conosce.

I rituali di iniziazione, programmati o inconsapevoli, sono quasi sempre caratterizzati da una rottura: con le regole sociali, con il gruppo, con la famiglia. Il rituale produce senso: dà un ordine al disordine.
Oggi però i riti sono sempre più trasferiti nel privato e la loro portata è diminuita, riguardando il singolo individuo e non la collettività. L’adolescenza così piena di prime volte e passaggi (il menarca, il sesso, l’esame di maturità, la patente etc.) rischia di essere abbandonata a sé stessa, i riti sfumano nella normalità del quotidiano e al massimo sono ridotti ad una trasmissione tra pari e non celebrati nella comunità.
Così quel bisogno di rottura, viene esasperato trovandosi persi in una crisi di senso. Ma a rompersi sono i ragazzi.

Ho letto decine di saggi su povertà educativa, dispersione scolastica, “seconde generazioni”. Poi te le trovi davanti, e ti arrivano come uno schiaffo, ti trovi avvilita perché senti che non tu, non la tua generazione ma l’intero sistema ha fallito, che c’è una ferita ormai spaccata anni fa e che si rinnova come una piaga senza potersi sanare. Te li ritrovi lì che non sono più numeri, statistiche e definizioni generalizzanti, ma hanno un nome, un volto, una storia unica, un dolore profondo, sono tagli sulle braccia, sono uno sguardo muto, che non ha parole a sufficienza per descriversi. Dis-integrati.

Questa residenza per Zeta,come gli ultimi – 2 settimane che mi sono sembrate 2 mesi – è stata intensa emotivamente tanto quanto importante perché potessimo portare in scena la verità della loro voce e dei loro corpi.
E’ stato sfidante e necessario.
E qui per seguire i protagonisti, ho smesso di esser capace di intravedere il prima e il dopo della curva. Ho smesso di aggrapparmi ai miei ricordi di ragazza, per cercare piuttosto nuove categorie attraverso cui leggerli. Ho alzato le mani, non in segno di resa, ma nella fiducia che dove loro mi conducessero fosse il luogo giusto per me in questo momento, per vederli davvero. Sono profondamente grata per gli incontri e i doni ricevuti.

Ora so che di Zeta c’è bisogno come l’aria.

Grazie a Mondi Immaginari che lo ha reso possibile.

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