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LA PIZZA E L’ITALIANITA’
pizza

Decidiamo di andare in pizzeria.
Uno dei rari weekend in cui nessuno dei due lavora e ci regaliamo un momento per noi. Anche se è un posto alla mano ci facciamo belli.
Un piacere e un’attenzione per me.
Uno status e una rivalsa per me.
Il posto è sul lungomare, andiamo a piedi e ci mettiamo quasi mezz’ora, facendo un po’ tardi e arrivando in chiusura. Potrei dire che torniamo spesso lì perché si mangia bene o perché sono gentili e non ci hanno messo fretta nonostante stessero chiudendo o perché nell’attesa ci hanno offerto degli assaggi. Ma ormai per me il metro di giudizio si sposta su altro. Ormai entro in un posto nuovo in allerta, attenta agli sguardi e ai piccoli gesti.
Pronta a difendere.
Pronto a rispondere alla provocazione.
Il personale quella sera non ha visto entrare una donna con un nero, ma una COPPIA. E non c’era forzatura, ma naturalezza. Ci hanno accolto con un sorriso aperto e la mia fronte si è subito distesa. Ho ordinato io e pagato io, ma dall’altra parte del bancone nessuno sguardo maligno ha tradotto il mio gesto con “il bel ragazzo africano che si fa mantenere dalla bianca e non sa neanche parlare la nostra lingua”. Semplicemente un’altra sera ordinerà lui e pagherà lui. E torniamo lì perché siamo i benvenuti e perché sono gentili. Quel che dovrebbe essere la regola, è diventata l’eccezione ed il nostro discrimine.

Un’altra delle cose che ci piacciono di questo posto è che c’è un unico tavolone, dove gli avventori condividono la cena e inevitabilmente anche qualche parola. Per uno che viene dal Mali, abituato non solo a salutare ma anche scambiare benedizioni con tutti gli sconosciuti che incrocia per strada, questa sistemazione conviviale è decisamente più aderente.
Quando ci sediamo, davanti a noi c’è una coppia di anziani, ormai al termine della loro cena. Scambiano con noi qualche sorriso, un apprezzamento sulla scelta della nostra ordinazione, ci augurano buon appetito e si alzano mentre lei incalza bonariamente lui, un po’ lento e maldestro. Mi chiedo spesso se arriveremo insieme a quell’età. Mio marito ha qualche anno meno di me ma mi sembra aver vissuto già 12 vite per come il destino lo ha messo, fin da piccolissimo, di fronte a sfide importanti e da quando è entrato nella mia vita, uno tsunami mi ha travolto spingendo il piede sull’acceleratore e bruciando le tappe.
Mentre sono immersa in questi pensieri, arriva lui. Lo splendido. Un personaggio che sembra la caricatura di sé stesso. Vestito sportivo, tutto tatuato, forte accento genovese. Cliente abituale – lo salutano per nome da dietro il bancone. Si siede di fronte a noi con la sua birra aspettando che la pizza arrivi e sfodera un sorriso innaturale. Visibilmente a disagio. Io sento che arriva e penso “non farlo, non serve”, ma niente, lo fa. Lui è lo Splendido e scollina il disagio diventando pateticamente il nostro migliore amico.
–        Adesso indovino di dove sei!
Mio marito sta al gioco e sorride semplicemente.
–        Senegal
–        No
–        Nigeria
–        No
Il sorriso dello splendido si sta spegnendo. Non gli restano in repertorio molti stati africani. Il suo sapere è già finito. Memore delle nostre conquiste coloniali sfodera:
–        Eritrea
Io scoppio a ridere che quasi sputo la pizza e mi esce spontaneo : nel corno d’Africa sono un po’ diversi, non lo vedi in faccia?!
Arriva il portapizze, che non teme di ammettere ignoranza, si aggancia incuriosito e chiede spiegazioni in merito alla mia osservazione. Perché insomma, pare che per loro due gli africani siano tutti uguali . Mio marito ride, ma quando svela la sua origine, i due tizi restano nell’incertezza : e dove ca**o sarebbe il Mali? Ecco io non pretendo che ne conosci confini e storia, ma parliamo pur sempre di un Paese che è 4 volte l’Italia, ha dato origine al Blues e da cui importiamo infinite materie prime. Comincio a innervosirmi.
Lui sta al gioco e continua a sorridere
–        Ma quindi parli l’africano?
–        Certo! E voi parlate l’europeo?! Solo in Mali ci sono un’ottantina di etnie e idiomi, figurati in tutta l’Africa. Io conosco 8 lingue : il Bambara, lingua del mio paese, il Mandeng, lingua di mia madre, i dialetti di Togo e Nigeria dove ho vissuto alcuni anni, l’Italiano perché vivo qui, il Francese, lingua ufficiale dei nostri colonizzatori, l’Inglese, necessario per viaggiare, l’Arabo per via dei miei 5 anni in Libia
–        Eeeeehhhh ma voi avete una marcia in più …. Che poi VOI…voi che vuol dire?! Voi…noi … insomma siamo uguali, cioè proprio uguali no (e avvicina il suo braccio per confrontare il colore!!!!) perché nello sport voi siete più forti….Oh ma te l’hanno mai detto che assomigli a Balotelli?

balotelliSta tristemente scivolando. Penso agli anni 80 quando tutti i neri somigliavano a Gullit, per altro olandese del Suriname e agli anni 90 quando tutti erano Bolt, per altro giamaicano. E prego perché non cerchi di buttarla sul cameratismo, ignorando la mia presenza e svoltando sulle battute a sfondo sessuale sulla prestanza dei neri.
In quel momento a chiudere il rosario di luoghi comuni entra una giovane coppia, ci lancia uno sguardo distratto, fingendo non curanza, abbozza un sorriso ma ormai riconosco espressioni e tensioni. La figlia piccola smaschera la loro tolleranza posticcia, si paralizza davanti a mio marito, bocca aperta, si aggrappa alle ginocchia della madre terrorizzata. Ti darò all’uomo nero che ti tiene un anno intero questo ci cantavano da piccoli minacciandoci contro i capricci. Ma I. nelle orecchie ha un’altra cantilena e le dice ridendo :
Ehi bimba hai paura? Non hai mai visto un uomo nero? Beh è arrivato l’invasore, lo sterminatore della razza bianca!!! (citando il nostro ministro)
“Ve la siete cercata” penso guardando i nostri compagni di cena

Eenee, Meenee, Mainee, Mo!
Catch a nigger by his toe!
If he hollers let him go!
Eenee, Meenee. Mainee, Mo!
You-are-It!


Ini, mini, maini, mo!
Prendi un negro per il dito del piede!
Se strilla, lascialo andare!
Ini, mini, maini, mo!
Tocca a te!

*filastrocca americana di fine 800

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